Mahdi Darius Nazemroaya, sociologo canadese, è ricercatore associato del Centre for Research on Globalization (CRG). Si occupa in particolare di studiare le dinamiche geopolitiche e le relazioni internazionali nel Vicino e Medio Oriente. Attualmente si trova in Libia nell’ambito d’una missione indipendente per appurare sul terreno i fatti legati all’esplosione della guerra civile ed all’intervento straniero. I ricercatori dell’IsAG Giovanni Andriolo e Chiara Felli l’hanno intervistato in esclusiva per “Eurasia”.
Dopo mesi di combattimenti, quali sono le sue considerazioni (anche in qualità di testimone oculare) circa le operazioni militari condotte dalla NATO?
Senza dubbio, deve essere sottolineato il fatto che i bombardamenti della NATO hanno deliberatamente avuto quali obiettivi i civili libici e dunque hanno cercato di punire la popolazione civile in Libia. Impianti idrici, ospedali, cliniche mediche, scuole, industrie alimentari, alberghi, veicoli civili, ristoranti, case, strutture governative e aree residenziali: tutto è stato bombardato. Ciò include anche la Corte Suprema Libica, un autobus con civili, una struttura medica dedicata alla Sindrome di Down, un centro di vaccinazione per i bambini e l’Università Nasser. L’affermazione della Nato, secondo cui sono stati oggetto di operazioni i comandi militari e gli edifici di controllo, appare insensata e falsa.
L’obiettivo della NATO non è quello di proteggere i civili, ma anzi di spingere questi ultimi ad incolpare il Colonnello Gheddafi ed il suo regime della guerra e dei crimini di guerra commessi contro la popolazione libica dalla NATO. La NATO ritiene che la brutalità delle proprie operazioni nei confronti dei civili e la strategia di ridurre la disponibilità di carburante, denaro, medicine, cibo ed acqua possano condurre ad un cambio di regime a Tripoli, inducendo la popolazione a detronizzare Gheddafi.
Muammar Gheddafi è diventato un bersaglio militare che la NATO ha cercato di uccidere durante i propri attacchi. Ora, questa azione non solo risulta essere illegale, ma, per di più, è parte di un calcolato progetto di destabilizzazione del paese. Anche se Topolino, il cartone animato dei bambini, fosse il leader libico, la NATO lo demonizzerebbe paragonandolo ad una sorta di Hitler, giustificando così le operazioni contro di lui. La NATO crede che se Gheddafi verrà ucciso, vi sarà come conseguenza una lotta sanguinosa per il potere che permetterà all’organizzazione di esercitare ed estendere la propria influenza su tutta la regione nord-africana. Uno dei principali obiettivi di questo progetto consiste nel far accendere una intensa guerra civile in Libia creando un conflitto tribale che potrebbe riversarsi al di là dei confini libici fino al Niger, all’Algeria, al Sudan, al Ciad nonché alle altre nazioni africane.
Finora, le cose non sono andate come il Pentagono e la NATO avevano pianificato. Le operazioni della NATO sono un vero e proprio disastro militare e politico. La campagna militare condotta dalla NATO ha di fatto contribuito a galvanizzare la maggior parte della popolazione nel supporto al Colonnello Gheddafi. Anche coloro che si opponevano al leader libico, ora hanno cambiato il proprio atteggiamento. Si può dunque affermare che la NATO abbia perso la sua guerra in Libia. Essa non è riuscita a rovesciare il Colonnello e la posizione di quest’ultimo sembra molto simile a quella ricoperta dallo Sceicco Hassan Nasrallah dopo la sconfitta di Israele nella guerra del Libano del 2006.
Parlando degli attori interni alla Libia, quali gruppi o fazioni stanno attualmente supportando Muammar Gheddafi? E quali sono contro di lui?
Politicamente, tutti i capi delle maggiori tribù supportano il Colonnello Gheddafi. Quasi l’intero apparato militare, dei servizi segreti, delle forze di sicurezza supporta Gheddafi e non lo ha mai abbandonato. Soprattutto, la maggior parte del popolo libico supporta il Colonnello Gheddafi.
Il popolo e i gruppi che sono contro il Colonnello Gheddafi sono una serie di ex funzionari corrotti del regime, come Mahmoud Jibril, che si sono uniti al Gruppo Combattente Islamico Libico e ad alcuni altri gruppi minori, tra i quali i Comunisti libici. Inoltre, ci sono anche alcuni amici e alleati di Muammar Gheddafi che si trovano ancora a Tripoli ma che sono disposti a cambiare partito qualora ritenessero che il vento stia mutando direzione.
Chi è destinato a guadagnare di più dalla rimozione di Muammar Gheddafi? Quali interessi sono in gioco nella crisi libica?
Gli attori che cercano di trarre vantaggio dalla rimozione del Colonnello Gheddafi possono essere raggruppati in due categorie. Tali categorie sono quelle degli attori interni e degli attori esterni. Gli attori interni sono individui libici che vogliono mantenere il loro benessere e il loro potere o accrescerlo. Molti di questi sono schierati con il Consiglio di Transizione di Bengasi e con la NATO, ma c’è dell’altro da dire a proposito.
Attualmente, ritengo che Saif Al-Islam Gheddafi e i suoi complici abbiano qualcosa da guadagnare dalla rimozione del padre, Muammar Gheddafi. Per anni Saif Al-Islam si è preparato per diventare il prossimo leader della Libia. Washington e la NATO avrebbero molto da guadagnare, se ciò accadesse. Inoltre, proprio Washington e la NATO intendono attivamente promuovere Saif Al-Islam come nuovo leader libico. Anche diversi suoi alleati avrebbero molto da guadagnare. Sono queste persone che stanno spingendo per un negoziato con gli Stati Uniti e la NATO e che potrebbero essere in procinto di avviare negoziati separati.
Tutto ciò potrebbe portare ad uno scontro di poteri interni tra i due principali campi per la leadership di Tripoli. Queste due fazioni sono la vecchia guardia di ministri e ufficiali, come Abdullah Senussi, attorno a Muammar Gheddafi e il gruppo di ministri e ufficiali scelti da Saif Al-Islam. Personalmente, ritengo che Saif Al-Islam non sia adatto per alcuna posizione di governo e che sarebbe un disastro per la Libia. E’ anche importante notare come tutti gli ufficiali del Consiglio di Transizione che hanno disertato e tradito Gheddafi fossero stati nominati da Saif Al-Islam. Anche Musa Kusa, in età da pensione, era stato trattenuto come Ministro degli esteri da Saif Al-Islam.
Cosa succederà in Libia? I recenti sviluppi della situazione, si vedano i progressi dei ribelli, porteranno alla fine delle operazioni militari? O saremo costretti a parlare di “pantano libico”?
Fin dall’inizio, l’obiettivo della NATO è stato quello di balcanizzare la Libia dividendola in tre sezioni più piccole: la Tripolitania, il Fezzan e la Cirenaica. Questo progetto risale ad un antico piano imperialista che britannici, francesi ed italiani, con il supporto statunitense, hanno cercato di riproporre più volte già nel 1943 e nel 1951. Vi furono i primi tentativi di stabilire una amministrazione fiduciaria separata nel 1943 dopo la sconfitta di Italia e Germania nel Nord Africa durante la Seconda Guerra Mondiale. Successivi negoziati internazionali avrebbero toccato la questione della definizione di diverse zone o sfere di influenza in una Libia divisa, ma Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia non riuscirono ad ottenere l’assenso sovietico. I governi italiano e britannico nel 1949 presentarono il Piano Bevin-Sforza per la partizione della Libia alle Nazioni Unite, ma questo non ebbe successo. Anche dopo il 1951, queste nazioni cercarono di dividere la Libia stabilendo un emirato federale sotto il loro “delegato” Re Idris I. Questa è una forma di balcanizzazione molto simile all’attuale federalismo che gli Stati Uniti sono riusciti ad imporre all’Iraq dopo l’invasione del 2003.
Attualmente, l’amministrazione Obama e la NATO sono nel pantano libico. Silvio Berlusconi, David Cameron e Nicolas Sarkozy devono tutti affrontare problemi politici di grande ampiezza. La NATO non può continuare senza definizioni la guerra contro la Libia a meno che non si cambi la strategia. Nè i cosiddetti ribelli possono avanzare in modo significativo sul terreno. Essi sono numericamente minori e questo non aiuta ad ottenere il supporto popolare in Libia. Non sono stati capaci di effettuare grosse incursioni dopo i primi bombardamenti NATO, anche se sono aumentate grazie alle forze speciali e ai consulenti militari NATO, ai jihadisti stranieri nonché ai mercenari.
Deve essere inoltre rilevato con attenzione che la NATO vuole prolungare i combattimenti a livello locale senza avere un ruolo palese. Il suo dilemma, tuttavia, è che non può vincere nè tantomeno può continuare a sostenere i bombardamenti sui civili libici. Così, si assisterà ad un cambiamento di tattica quando la NATO si ritirerà e ricorrerà segretamente ad una guerra sotto copertura e a maggiori operazioni di intelligence. Sarà possibile inoltre assistere a combattimenti al di fuori delle aree strategiche, mentre si cercherà di rendere più sicure zone come quelle di Misurata o Brega quali enclave protette dalla NATO stessa.
Parallelamente, la NATO ha l’obiettivo di mobilitare numerose ONG all’interno della Libia. Queste ONG lavoreranno segretamente per la NATO sul territorio col pretesto della “costruzione della democrazia” e di missioni umanitarie. La NATO ha già inviato segretamente una delegazione a Tripoli per cercare di negoziare l’ingresso di tali ONG nell’ambito dell’accordo di pace tra la NATO e il regime libico.
È nota la proposta del governo turco, una sorta di “road map” per condurre al termine la crisi libica: vi si richiede l’immediato cessate-il-fuoco, la protezione dei civili e una transizione democratica. Ritiene che possa essere una soluzione realizzabile?
Il governo di Ankara affermò simultaneamente la sua amicizia verso la Siria e la Libia. La Turchia ha operato come un “cavallo di Troia” e dunque il suo governo non è mai stato un onesto mediatore. Attraverso l’assistenza alla CIA nonché ad altri servizi di intelligence, i servizi turchi hanno lavorato duramente contro la Libia ed aiutato a destabilizzare la nazione fin dai primi giorni del conflitto.
La proposta turca è fasulla ed è stata male interpretata. Ankara ha lasciato intendere di voler agire da negoziatore tra il governo di Tripoli e il Consiglio di Transizione di Benghazi. In realtà, il governo turco stava lavorando affinchè il Consiglio di Transizione si rafforzasse, dunque a beneficio della NATO. Come la Germania, la Turchia ha sostenuto questa guerra dalle prime battute e non si è opposta al Quartier Generale della NATO. Ha inoltre preso parte alle operazioni navali contro la Libia, è inoltre l’autorità aerea selezionata dalla NATO a Benghazi che ha permesso la spedizione di armi ed, in ultimo, ha garantito la cittadinanza turca ai membri del Consiglio di Transizione.
D’altronde, la realizzazione di un sistema democratico in Libia non è certo un obiettivo della Turchia. L’attuale politica neo-ottomana di Ankara non è basata su un benevolo desiderio di pace e democrazia. È parte di un piano di politica estera nelle mani del governo turco come parte di un sistema imperiale globale. Ankara attualmente si sta adoperando intensamente per favorire l’ascesa di governi cleptocratici in Libia e in tutti i paesi arabi, sotto l’etichetta di riforme democratiche e di democratizzazione. D’altra parte, la Turchia non viene presentata quale modello di democrazia per gli arabi data la mancanza di qualifiche prettamente democratiche. La “road map” turca è solo un miraggio, alla stregua del supporto del governo alla causa palestinese. La proposta di Ankara deve essere intesa esclusivamente come strumento per aprire le porte della Libia al moderno sistema imperiale promosso dagli Stati Uniti.
In uno dei suoi ultimi articoli pubblicati da Global Research, lei parla di una collaborazione israelo-saudita che starebbe favorendo un piano statunitense di smantellamento dei Governi dell’Iran e dei paesi suoi alleati, attraverso la creazione di situazioni di protesta e di settarismo in diversi paesi arabi: ritiene che una tale collaborazione abbia giocato un ruolo, almeno parziale, nella crisi libica?
L’attacco alla Libia è parte di una guerra più ampia, mirante a ristrutturare l’area dalla costa atlantica del Marocco fino all’ex Asia Centrale Sovietica e al confine sino-afghano. Anche in Libia, questo progetto è diretto contro l’Iran e i suoi alleati. A questo proposito, gli stessi metodi di divisione e conquista che sono stati usati in Iraq sono stati utilizzati anche contro i Libici. Queste tattiche hanno operato nella direzione di rafforzare ciò che in arabo può essere chiamato “fitna” (“guerra civile” NDR) tra le varie regioni, tribù e gruppi etnici in Libia. Le differenze etniche in Libia sono un fattore inesistente a livello virtuale, ma al regionalismo e al tribalismo possono essere assegnati connotati politici che rischiano di diventare esplosivi. E’ anche in un tale contesto che le potenze NATO stanno parlando di una divisione tra Berberi e Arabi nel Nord Africa, come pretesto che essi vogliono utilizzare per dividere il Nord Africa e destabilizzare il Continente africano. La strategia della NATO per assassinare il Colonnello Gheddafi mira ad attizzare queste differenze attraverso un vuoto di potere.
Riguardo alla collaborazione israelo-saudita, gli Israeliani sono stati attivi in Libia e hanno parlato con entrambi i fronti. Il Mossad ha mandato segretamente agenti a Bengasi e a Tripoli per parlare ad entrambe le fazioni libiche a nome di Tel Aviv. Nello stesso tempo, gli Arabi Khaliji (del Golfo) hanno lavorato attivamente contro Tripoli e hanno supportato il Consiglio di Transizione. Nello specifico, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein sono stati molto attivi contro Tripoli nei fronti politico, diplomatico, militare, finanziario e mediatico. Ormai, il ruolo saudita non può essere ignorato. Sono stati l’Arabia Saudita e i paesi del Golfo a dirigere la richiesta della Lega Araba verso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU contro la Libia. Essi hanno inoltre architettato la sospensione della Libia dalla Lega Araba. Al Arabiya, che è posseduto dai Sauditi, ha inoltre diffuso le prime accuse secondo cui un membro della Corte Internazionale per i Crimini contro l’Umanità avrebbe dichiarato che migliaia di civili erano stati uccisi a Bengasi dal regime libico.
E’ interessante che esistano timori nei quartieri generali del Pentagono e della NATO che Iran e Libia possano formare un’alleanza strategica contro Washington e la NATO. La stampa israeliana ha dichiarato che la Guardia Rivoluzionaria Iraniana avrebbe mandato in segreto consulenti e personale militari in Libia per assistere i Libici contro la NATO. Tripoli e Tehran hanno molte cose in comune e ora ancora di più. Entrambi stanno iniziando a considerare di stringere maggiori contatti reciproci. Un asse strategico può entrare in attività tra Tripoli e Tehran, e questa è una causa reale di preoccupazione per Washington e la NATO.
I media e i social network hanno un ruolo fondamentale nella diffusione delle informazioni. Lei ritiene che, in alcuni casi, ci sia stata una qualche distorsione di quanto sta accadendo, come nel caso della Siria o della stessa Libia?
Non può trascurarsi la manipolazione che sui media è stata operata dalle forze armate degli Stati Uniti e dagli altri membri della NATO, come Francia e Gran Bretagna. Tale manipolazione è avvenuta allo scopo di fabbricare il consenso dell’opinione pubblica e di fornire una precisa percezione della gestione delle operazioni. Senza dubbio, i media ed internet sono stati ingredienti essenziali nel lancio della guerra in Libia e nel destabilizzare la Siria. In entrambi i paesi, infatti, Facebook, Twitter, cellulari e Youtube sono stati usati per diffondere materiale contro i due regimi di Tripoli e Damasco. La CNN, la BBC, Al Jazeera, Al Arabiya, Fox News, Sky News, France24, TF1 e numerosi altri network e giornali si sono rimessi alle fonti di questi social media come fossero particolarmente autorevoli, senza neppure verificare le informazioni postate o le rivendicazioni che sono state fatte.
Nei primi giorni di protesta e violenza in Libia e Siria, questi social media sono stati immediatamente mobilitati dall’esterno. Vi furono ben presto pagine di Facebook e tweets circa quanto stava accadendo, con migliaia di sconosciuti iscritti. Gli autori di queste pagine, tuttavia, sono alquanto discutibili. Infatti, tali pagine erano tutte scritte in inglese ed altre lingue straniere e molto ben progettate. Non sono dunque sembrate in alcun modo spontanee e gli account coinvolti non erano nella lingua madre di Siria e Libia, ovvero l’arabo.
Nel caso della Siria, questi siti internet sono stati creati nel febbraio 2011, prima delle proteste, e risultano presentare affermazioni simili a quelle dei principali media circa proteste in quella nazione che non si sono mai materializzate. Una specifica pagina, nel caso siriano, è “The Syrian Revolution 2011” che incitava ad una giornata della collera venerdì 4 febbraio 2011. Il nome di questa pagina su Facebook era in inglese e il numero di persone che si sono iscritte non si è effetivamente tradotto in una eguale mobilitazione fisica. Inoltre, molti degli account erano registrati sotto utenti che si suppone vivano in piccole aree urbane della Siria dove è sensibilmente ridotto il numero di persone che ha effettivo accesso ad internet.
Vi è anche un legame diretto tra le organizzazioni in Siria e Libia che hanno lanciato queste campagne ed i canali presenti a Washington. Questi social media non sono stati solo citati quali fonti veritiere, ma sono stati attivamente mobilitati ed usati dai maggiori network contro il governo di Damasco e Tripoli. Il materiale usato dalla CNN ed altri network ha alimentato le domande sull’integrità dei principali media e le loro connessioni con il complesso militare-industriale, dal quale il Presidente Dwight Eisenhower aveva cercato di mettere in guardia l’opinione pubblica. Per esempio, la CNN in un reportage di Sara Sidner ha utilizzato un video di Youtube relativo ad uno stupro. Sembra che la stessa CNN abbia montato tale video. La CNN ha affermato che il video riguardasse una donna di Misurata che veniva violentata da soldati libici. In realtà, lo stupro ha avuto luogo a Tripoli ed era un crimine domestico avvenuto prima dei combattimenti di Misurata e senza coinvolgimento alcuno di soldati libici.
Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno usato i social network contro l’Iran a seguito delle ultime elezioni presidenziali e li stanno utilizzando ora contro Libia e Siria. Stanno inoltre preparandosi a ricorrervi contro i loro oppositori in Bolivia, Cuba, Venezuela, Bielorussia, Russia, Serbia, Ecuador, Armenia, Libano, Ucraina, Cina e molte altre nazioni che desiderano controllare. A parte l’addestramento di persone dell’opposizione che viene effettuato dal Dipartimento di Stato nordamericano col pretesto di promuovere la democrazia, questa situazione spiega al meglio il perchè, per più di un decennio, sia il Pentagono che la NATO abbiano cercato di dare enfasi ad una strategia militare all’interno del cyberspazio. L’uso dei social media è ricaduto sotto il controllo e le politiche del Social Media in Strategic Communication (SMSC) del Pentagono, il cui proposito è utilizzare i media quale strumento di guerra. Sia le forze militari statunitensi che quelle israeliane sono conosciute per avere dei team di persone specializzate nell’andare su internet e lasciare commenti, cercando in tal modo di influenzare l’opinione pubblica attraverso la partecipazione a forum e conversazioni online. Questo include anche curare Wikipedia ed altri simili siti di enciclopedie open source. È inoltre noto pubblicamente che le forze aeree degli USA abbiano ordinato dei software per gestire le innumerevoli personalità online quale parte di questo progetto militare.
Inoltre, gli Stati Uniti, paradossalmente, hanno provvisto regimi come quelli in Bahrein, Arabia Saudita, negli Emirati Arabi Uniti e in Kuwait di tecnologia e software necessari per contrastare e impedire l’uso dei social network da parte dei loro cittadini. Tali network sono stati utilizzati anche per applicazioni militari. Twitter, ad esempio, è stato utilizzato in Libia per fornire la localizzazione degli obiettivi per le forze militari della NATO.
Quali forze stanno cercando di rovesciare Basher Al-Assad in Siria? Si tratta soltanto di una sollevazione popolare? O lei vede forze esterne all’opera in Siria per smantellare il regime di Assad? Qual è il ruolo di Turchia e Israele nel caso siriano?
In Siria esistono tensioni e rabbia reali, ma gli eventi di questi mesi non sono causati da una sollevazione popolare. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea, i Saud, il Qatar, la minoritaria Alleanza del 14 marzo guidata da Hariri in Libano, la Giordania e Israele hanno fomentato i problemi in Siria attraverso la manipolazione mediatica, attraverso agenti provocatori e infiammando la rabbia interna legittima e illegittima. A prescindere da ciò che ognuno pensa del Presidente Basher Al-Assad, è innegabile che egli sia estremamente popolare tra il popolo siriano.
Gli eventi in Siria e in Libia sono coordinati. Scavando in profondità si può vedere come le stesse persone abbiano aiutato ad orchestrare questi eventi dal Cairo, inclusi Bernard-Henri Lévy e Mahmoud Jibril. Le persone e organizzazioni che hanno favorito lo scoppio del conflitto in Libia sono gli stessi attori che hanno tentato di rovesciare il Presidente Basher Al-Assad e il regime siriano. Al Jazeera e il National Endowment for Democracy (NED) sono due di queste entità. La direzione di Al Jazeera ha legami molti stretti con Mahmoud Jibril, che ha lavorato per la testata qatariota. In parallelo, le organizzazioni per i diritti umani che hanno aiutato a demonizzare Damasco e Tripoli lanciando false accuse di repressione di massa sono legate al NED e agli individui che hanno fomentato la violenza in Libia e in Siria.
I mezzi d’informazione principali stanno sovvertendo i fatti. I partiti e le forze coinvolti nel disordine siriano hanno nei fatti marginalizzato ogni reale voce democratica in Siria. Per ironia della sorte, queste forze sono presentate come opposte al Governo siriano sulla premessa che il regime siriano non è democratico. Tuttavia, la massa di queste forze che spingono per la caduta di Basher Al-Assad sono a loro volta contro la democrazia. Tra queste forze ci sono i Fratelli Musulmani e il Partito di Tahrir, che sono partiti multinazionali con uffici a Londra, dove vengono istruiti dagli Inglesi. Questi partiti sono inoltre una minoranza in Siria e non offrono alcuna alternativa politica migliore del regime siriano. E nemmeno rappresentano l’Islam in molti delle loro credenze e comportamenti.
La Turchia è stata attivamente coinvolta nella cospirazione contro Siria e Libia. Ho visto una prova inconfutabile di ciò a Tripoli, dove i servizi segreti turchi sono stati molto attivi nell’aiutare a preparare il terreno per le operazioni contro la Libia. E’ stata l’intelligence turca a stabilire i contatti che CIA, MI6 e altre agenzie di spionaggio della NATO stanno usando in Libia.
Il ruolo turco nella destabilizzazione della Siria è diventato molto chiaro. Dopo le elezioni parlamentari turche, il linguaggio del Primo Ministro Erdogan sulla Siria è cambiato rapidamente da quello della amichevole retorica preelettorale alle dure minacce. Il Governo turco ha mostrato la sua vera faccia dopo che Erdogan è stato rieletto dal popolo turco.
Tutti i problemi in Siria sono emersi nelle aree di confine del paese. La prima ondata di violenza è avvenuta vicino al confine giordano, poi la violenza è esplosa vicino al confine libanese e infine una insurrezione armata è sorta vicino al confine con la Turchia. Ankara ha fornito un grande supporto coperto e scoperto contro il regime siriano e le sue forze. E’ stata addirittura discussa in Turchia la proposta di usare l’esercito turco per creare una zona cuscinetto dentro la Siria. A questo punto, i media turchi sono stati mobilitati contro la Siria e l’esercito turco ha violato attivamente il territorio siriano quando gruppi armati supportati segretamente dalla Turchia hanno iniziato ad attaccare l’esercito siriano.
Allo stesso tempo, Ankara ha iniziato un’azione politica contro la Siria, fornendo supporto logistico e politico ai gruppi di opposizione siriani, che sono stati addirittura ospitati ad una conferenza in suolo turco vicino al confine con la Siria, e fornendo anche il luogo dei combattimenti tra gli insorgenti e l’esercito siriano. Il Governo turco ha iniziato a intimare a Damasco di “riformare”. La parola “riformare” è un termine in codice che significa “obbedire” e “sottomettersi” e non ha nulla a che vedere con il processo autentico di democratizzazione o libertà in Siria. A questo proposito, Ankara ha ordinato alla Siria di cambiare la propria politica, di entrare nell’orbita della NATO, di smarcarsi dall’alleanza strategica con l’Iran e di interrompere il supporto verso Hezbollah e i gruppi di resistenza palestinesi.
Il comportamento della Turchia non va analizzato separatamente da quello di NATO e Israele. Malgrado Tel Aviv sia stata molto silenziosa, Israele non è stato assente dalla campagna per la sottomissione della Siria. I servizi segreti di Turchia e Israele hanno collaborato in modo stretto e si sono coordinati contro la Siria e i suoi alleati. In realtà, in Libano e in Siria sono state catturate diverse spie israeliane collegate agli eventi siriani. Il ruolo di Israele nella destabilizzazione e nella ristrutturazione dell’Asia sud-occidentale e del Nord Africa non deve essere dimenticato. Il Piano Yinon israeliano per dividere la regione è una testimonianza reale di ciò.
Analizzando le nuove posizioni in politica estera del Cairo (relazioni normalizzate con l’Iran, rivalutazione dei legami con Israele, per citarne alcune), lei pensa che l’Egitto possa riconquistare la sua influenza regionale, anche attraverso l’espresso impegno delle forze armate di promuovere un sistema democratico?
Vi sono stati dei cambiamenti superficiali, l’Egitto vive ancora una situazione instabile e dinamica. I principali media stanno nascondendo numerosi fatti circa gli eventi locali e vi è una continua lotta nel paese. In realtà, Il Cairo non ha sperimentato alcun reale cambio di regime o una trasformazione democratica. Il riavvicinamento a Tehran non ha ancora dato i suoi frutti. La stessa promessa di porre fine all’assedio contro i palestinesi a Gaza non è stata onorata. Tutti i precedenti attori politici sono presenti al potere. Le forze armate egiziane governano la nazione così come succedeva con il Presidente Mubarak e il Presidente Sadat. I Fratelli Musulmani sono stati cooptati nell’intento di fornire un cambiamento che si mostri come una sorta di lifting politico alle sembianze dell’Egitto.
Tuttavia, lo spirito della popolazione egiziana è mutato e non è più preoccupata di opporsi ai propri leader: un reale sentimento rivoluzionario pervade la società egiziana. Se l’Egitto riuscirà a giungere ad una autentica trasformazione politica, il mondo intero assisterà ad una robusta presenza del Cairo in Africa e nel mondo arabo tale da porlo in competizione con Washington, Tel Aviv e l’Unione Europea. L’Egitto di Nasser era un centro fondamentale di resistenza e opposizione a Washington, nel sostegno alla resistenza algerina contro l’occupazione francese, a quella yemenita contro gli inglesi e a quella palestinese contro l’occupazione israeliana. Il Cairo supportava l’indipendenza e i movimenti anti-imperialisti in Africa e nel mondo intero. Se il popolo egiziano riuscirà a costruire con successo un sistema libero da qualsiasi tutela esterna, allora tornerà ad essere un forte leader pan-arabo e pan-africano.
Nel mondo arabo si materializzerà una nuova dinamica. Se davvero vi sarà una trasformazione, l’Egitto potrà competere con Turchia, Iran, Arabia Saudita, Israele, Stati Uniti e Unione Europea per il primato di influenza tra gli arabi. Entrerebbe in contrasto con numerose altre potenze che stanno cercando di stabilire il loro controllo in Africa. Allo stesso tempo, Il Cairo indubbiamente si sposterà geopoliticamente verso l’Iran, la Siria, la Russia e la Cina. Coopererà con Damasco e Tehran contro le potenze esterne in Medio Oriente e si potrà addirittura coordinare con Tripoli per realizzare l’unificazione dell’Africa.
Perché le proteste nella Penisola Araba (Arabia Saudita o Bahrein, per esempio) non sono state perseguite nello stesso modo in cui lo sono state in Nord Africa?
Le proteste nella Penisola Araba sono un effetto collaterale delle conseguenze degli eventi in Tunisia e in Egitto. Queste proteste sono autoctone e organiche, e riflettono il malcontento interno dei popoli della Penisola Araba. Queste proteste inoltre si sono trovate ad andare contro gli interessi strategici, politici ed economici di Washington, dell’Unione Europea e di Israele. Questo è il motivo per cui tali proteste arabe sono state liquidate e ignorate da Associated Press, Sky News, CNN e BBC.
Nulla è stato fatto in Bahrein e in Oman, mentre la Siria è isolata e la Libia è stata attaccata dalla NATO. Attorno alla Penisola Araba, nulla è detto riguardo al Regno Hashemita di Giordania e al Marocco. Anche queste insurrezioni dovrebbero essere esaminate e analizzate nel contesto degli interessi della politica estera statunitense. Una volta che ciò fosse fatto, allora una serie di contatti potrebbero essere stabiliti tra queste rivolte e il comportamento degli Stati Uniti e della UE nei loro riguardi. In realtà, Mahmoud Jibril del Consiglio di Transizione con base a Bengasi, che gli USA presentano come un campione di libertà e democrazia, ha supportato gli Al-Khalifa in Bahrein e gli altri dittatori del mondo arabo. Mahmoud Jibril è inoltre stato l’uomo che ha aiutato molti dei regimi arabi a presentare una facciata radiosa al mondo mentre essi massacravano i propri cittadini.
Mentre zone di interdizione aerea erano imposte in Libia, nulla è stato fatto nei confronti delle uccisioni e delle torture in Bahrein. Washington e l’Unione Europea hanno tutti pressoché ignorato i crimini in Bahrein contro il popolo da parte del regime degli Al-Khalifa. Inoltre, essi hanno voltato la testa mentre l’Arabia Saudita interveniva militarmente in Bahrein e mentre i Saud uccidevano e reprimevano i propri cittadini.