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Channel: Julia Timoshenko – Pagina 157 – eurasia-rivista.org
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Terrorismo islamico: nuove sfide e minacce.

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Sono trascorsi ormai dieci anni dall’attentato compiuto da Al-Qaeda al World Trade Center e al Pentagono, e la data dell’11 settembre 2001 rappresenta tuttora uno dei grandi fattori di mutamento negli obiettivi e nelle strategie, in politica estera e interna, dell’Occidente e di tutti gli stati del mondo.

L’attacco terroristico ha portato la comunità internazionale a ridiscutere alcuni elementi che, dalla fine del sistema bipolare, sono alla base dell’attuale sistema multipolare decentrato: l’emergere di una nuova minaccia globale, cioè il terrorismo di matrice ideologico-religiosa, e di nuovi nemici, ovvero gli attori non statuali transnazionali; la vulnerabilità della superpotenza americana, colpita nel proprio territorio con quello che è stato vissuto come un atto di guerra non dichiarato; la necessità di allargare le priorità e gli ambiti di competenza della NATO (North Atlantic Treaty Organization); l’esigenza di incrementare gli sforzi collettivi degli stati membri dell’Unione Europea per creare una precisa politica di sicurezza comune; la debolezza della globalizzazione.

Soprattutto, l’emergere del terrorismo di matrice religiosa come fattore di insicurezza internazionale, ha modificato il concetto di guerra: la Global War on Terror, preconizzata dall’amministrazione Bush e attuata con l’invasione dell’Afghanistan nel 2001, è asimmetrica e non convenzionale, combattuta contro avversari non statuali che utilizzano una struttura clandestina e traggono vantaggio dalla propria conflittualità asimmetrica, cioè lo sfruttamento da parte dell’avversario più debole, delle debolezze di quello più forte.

Il fenomeno del terrorismo islamico non è un elemento inquadrabile all’interno di una stessa cornice, da una parte perché esso si compone di una galassia di gruppi che perseguono obiettivi e strategie diverse, benché accomunati dalla medesima ideologia, e dall’altra perché esso stesso ha subito dei cambiamenti in questi dieci anni, arricchendosi di nuovi elementi.

Il terrorismo ǧihadista pre-11/09.

In principio fu l’Afghanistan.

L’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979,in soccorso del vacillante regime comunista alleato,ha rappresentato una fase cruciale per l’elaborazione di una dottrina che ha permesso la transizione della teorizzazione del ǧihad come concetto coranico alla sua pratica tattico-operativa, e il passaggio di alcuni movimenti islamici ad un Islam radicale globale.

La nascita del radicalismo islamico ǧihadista è stata sospinta datre attori statali fondamentali: gli Stati Uniti, che poggiavano la propria strategia di containment del nemico sovieticosul sostegno,in termini di armie di addestramento da parte della CIA, alla resistenza afghana; l’Arabia Saudita, la qualegià a seguito del boom petrolifero del 1973 aveva investitole ingenti rendite di petrodollari nella diffusione di un proselitismo di dottrina wahhabitain tutto l’universo sunnita, ha fattodell’Afghanistan la propria causapolitico-religiosain chiave anti-iraniana, per accrescere il proprio prestigio elalegittimità religiosa. Ha operato a fianco del grande alleato statunitense, principalmenteattraversola Lega Islamica mondiale, portando la “wahhabizzazione” di un’area afghano-pakistana caratterizzata dalla dottrina deobandita; il Pakistan,base d’appoggio strategica per gli Stati Uniti, in cui sono stati creati iprimi campi di addestramento nella zona di Peshawar,è statosnodo di flussi di denaro, armi, uomini e idee. Prima ancora dell’Afghanistan, è stato il Pakistan il crogiuolo delle varie anime dell’islamismo sunnita: qui il governo del generale Zia ul-Haq godeva del sostegno del Ǧamaʿat-e Islami fondata da Mawdudi in cui transitava l’aiuto finanziario saudita.Le madrase islamiche hanno indottrinato i giovani profughi afghanisecondo una personalità islamica universale, nutrita dello spirito del ǧihad. È da notare che qui, però,convivevanodue diverse interpretazioni islamiste: da unaparte coloro che, come laǦamaʿat-e Islami, volevano islamizzare la modernità, e dall’altra i fondamentalisti deobanditi,i qualiinvece respingevano questo discorso.

Soltanto nel 1984-1985 hanno cominciatoad affluire in Afghanistan i cosiddetti “arabi afghani” ovvero i musulmani provenienti dai vari paesi arabo-musulmani, giunti per combattere in favoredella causa afghana.

È stato Abd Allāh al-Azzām, giurista e combattente palestinese, il personaggio più influente che per primo, rivolgendosi agli arabi,ha professato la necessità di attuareun ǧihad saġir, “minore”,alquale ognimusulmano era obbligato a partecipare, almenomoralmente o finanziariamente. Il ǧihad doveva essere di portata globale contro gli invasori sovietici,salvifico per tutta la Umma islamica, un appello rivolto ai musulmani giunti in Afghanistan per combattere uniti in nome dell’Islam. Egli,diffondendo il concetto di lotta armata islamica, ha rappresentato il principale divulgatore contemporaneo del ǧihadcosì come iscrittonella tradizione della scuola hanbalita, interpretata da Ibn Taīmiyya.Al-Azzām inseguiva la speranza che la guerra rivoluzionasse lsocietà musulmana, rendendola conscia del proprio fallimento, sia nei confronti dell’Occidente, sia verso gli stessi governi islamici, considerati empi.

I campi di training afghanie pakistani, quindi,possono essere definiti “l’incubatrice” sociale e religiosa dell’Islam radicale globale, poiché hanno permesso di amalgamare militanti provenienti da diversi paesi e di differente estrazione etnica e sociale.

Colui che ha raccolto l’appello di al-Azzām all’inizio degli anni Novanta, è stato Osama Bin Laden, che ha realizzatoilprogetto del suo ideologoe,grazie alle sue credenziali finanziarie,è riuscito a creare una rete di gruppi islamici radicali a livello globaleche fossero impegnati nella sconfitta del potere occidentale e nella costituzione di un Califfato universale. Già nel 1988 Bin Laden aveva riunitoi militantimusulmani “afghani”, creando l’organizzazione Qaʿidat al-Ǧihad, nella quale, nel corso degli anni ’90, sono confluiti vari gruppi militanti che condividevano l’ideologia ǧihadista. Tra essi la Ǧamaʿat Islāmiyya, guidata da Al-Zawahiri, trasformatosi da movimento antigovernativo egiziano a parte integrante della coalizione dell’Islam radicale, e il gruppo pakistano Lashkar-e Toiba, nato nel 1989, passato dall’essere un’organizzazione con un focus Indo-centrico, che basava le proprie istanze sulla liberazione del Kashmir indiano, a gruppo con ambizioni internazionali.

Osama Bin Laden assurse a leader supremo, sfruttando innanzitutto la delusione provocata dall’ “abbandono del ǧihad” da parte di Stati Uniti e Arabia Saudita (per i quali la questione afghana aveva perso di centralità strategica, a seguito delcrollo dell’URSS e dell’indebolimento dell’Iran): gli ex militanti islamistisi sono trovati senza uno stato che potesse evolesse controllarli, eranoprofessionisti addestrati alle armi enutriti da un misto di dottrinereligiose e tecniche di guerra. All’interno di questa composita cornice è nata la dottrina del “salafismo ǧihadista” che interpreta in chiave militanteda una partei principi elaborati alla fine del XIX secolo dall’egiziano ʿAbdu e il siriano Rida, i quali predicavano la necessità di ritorno alla tradizione islamica (salaf) per opporsi alla diffusione della modernità occidentale, edall’altrala tradizione fissata nel XIV secolo dal teologo Ibn Taīmiyya, base della dottrina wahhabita di ispirazione hanbalita, che tende al rigetto di tutte le innovazioni per un ritorno alle sorgenti vere dell’insegnamento islamico.

Il ritiro sovietico, inizialmente, è stato interpretato come una vittoria della strategia combattente islamica: i militanti erano convinti che, avendo sconfitto una superpotenza, fosse giunto il momento di rovesciare anche i regimi empi e rimpiazzarli con stati islamici riuniti in un Califfato.

In realtà il crollo dell’Unione Sovietica ha portato questistati ad essere soggetti all’influenzadegli Stati Uniti, unica superpotenza emersa con la fine del bipolarismo.

Bin Laden convogliò il fermento islamista all’interno di un messaggio propagandisticosemplice ed un programma politico che avesse un’unica richiesta, cioè la liberazione del mondo musulmano dalla presenza americana, che ha sancito la dimensione globale del conflitto con l’Occidente.

Durante gli anni ’90, Al-Qaeda si è resa protagonista diuna campagna anti-occidentale, compiendo attentati terroristici contro obiettivi americani, approfittando del safe haven rappresentato dal Sudan di Bashir, prima, e dall’Afghanistan dei Taliban, guidati dal mullah ʿUmar, poi.

La strategia finaleè culminatanel 1998 con la fatwa “ Dichiarazione di guerra nei confronti dei crociati e degli ebrei”, che ha segnato la svolta nelle istanze terroristiche di matrice ǧihadista. Per fare proselitismo, daʿwa, ed ottenere appoggio popolare, era necessario concentrare l’attenzione sui nemici “lontani” dei musulmani, cioè fuori dal mondo arabo, posizionando Al-Qaeda come difensore dell’Islam.La comunicazione, quindi ha sempre assunto un ruolo centrale nell’organizzazione: l’agenzia As-Sahab fu costituita per produrre e diffondere comunicati e videocassette contenenti i messaggi di propaganda del leader Bin Laden, atti a trasmettere linee guida agli affiliati e coinvolgere le simpatie di tutti i musulmani del mondo. Proprio la capacità mediatica del messaggio e del suo contesto, ha permesso che Al-Qaeda e Bin Laden diventassero simboli di un terrorismo ǧihadista cheminacciaval’egemonia statunitense sul mondo islamico. La sproporzione della risposta all’attacco terroristico dell’11/09, cioè l’impegno in due costose e lunghe guerre (Afghanistan 2001 e Iraq 2003), non ha portato ai risultati sperati, ovvero l’eliminazione della minaccia terroristica islamica, ma ad una disgregazione in periferia dei teatri tattico-operativi e della propaganda dell’agenda qaedista.

L’evoluzione del terrorismo post 11/09.

Il cambiamento strutturale all’interno di al-Qaeda, avvenuto già dopo gli attentati compiuti a Madrid (11 marzo 2004) e a Londra (7 luglio 2005), ha trasformato l’organizzazione in una struttura reticolare che fornisce un ombrello ideologico per tutti i gruppi ǧihadisti sparsi in varie parti del mondo.Le cellule qaediste, unite dalla strategia operativa e dall’ideologia, non hanno più necessità di coordinarsi per compiere i propri obiettivi, poiché sono accomunateda un’interpretazione unitaria di quali essi siano: i nemici esterni, crociati e sionisti, e quelli interni, i regimi arabi empi.

Il terrorismo di matrice islamica qaedista si è evoluto in una fase di “spontaneismo armato”, la quale ha portato a una decentralizzazione che prevede il trasferimento operativo, logistico e finanziario in “periferia”, lasciando al “centro” le funzioni propagandistiche dell’ideologia salafita.Sicuramente l’invasione dell’Afghanistan nel 2001 ha contribuito a questa evoluzione nella struttura terroristica mondiale: la perdita di controllo del territorio afghano ha fatto sì che al-Qaeda subisse un duro contraccolpo organizzativo e militare, che ha reso necessaria la sua decentralizzazione.

La minaccia terroristica ǧihadista ha assunto un carattere multidimensionale, variabile e complesso, che concentra in sé, inoltre, questioni geopolitiche, storiche e antropologiche: si potrebbe definirla una forma di terrorismo ibrido, che unisce agende locali e rivendicazioni nazionaliste con obiettivi globali.

In effetti, il “marchio del terrore” di al-Qaeda si è dislocato in varie parti del mondo arabo-islamico, dando i natali a nuove sigle che operano anche contro obietti politici regionali specifici.

Lo scenario qaedista internazionale può essere articolato secondo quanto segue:

-AQI: Al-Qaeda in Iraq, evidenziato come una minaccia centrale agli sforzi internazionali per la pacificazione e la stabilità irachena, creato da Al-Zarqawi (ucciso nel 2006 in un raid), il quale nel 2001 entrò nel gruppo militante Ansar Al-Islām. Solo nel 2004 Al-Zarqawi si unì ad Al-Qaeda, avendo però progetti propri per l’Iraq, crearne ovvero un Califfato, nonostante la stessa leadership di Al-Qaeda ne fosse contraria. L’uccisione di Al-Zarqawi ha notevolmente indebolito le capacità dell’AQI, il quale però rimane attivo, votato ad un’attività terroristica in chiave anti sciita.

-AQMI: Al-Qaeda nel Maghreb Islamico, formato nel 2006 dai fuoriusciti del Gruppo Salafita per la predicazione ed il cambiamento algerino. Concentra la propria attività nella zona sahelo-sahariana, in particolare Mali e Mauritania, anche se si è assistito ad un notevole interessamento per la Nigeria, dove è entrato in contatto con il gruppo islamista Boko Haram (chiamati anche i Taliban nigeriani). Può rappresentare una minaccia regionale e internazionale se riuscisse a trarre vantaggio della nuova situazione politica della Riva sud del Mediterraneo.

-ADAO: Al-Qaeda in Africa Orientale, attualmente presente nel Corno d’Africaallargato (Etiopia, Eritrea, Kenya, Somalia, Sudan, Tanzania e Uganda). È uno dei teatri principali dell’azione qaedista, concentrata soprattutto in Somalia, stato fallito governato dal TFG (Transition Federal Governement), incapace di controllo del territorio.Qui Al-Qaeda ha trovato un safe haven e un terreno fertile per il reclutamento e il traffico di armi e flussi di denaro. Pericolosa per la stabilità dell’area è soprattutto la connessione con Al-Shabab, che lotta per l’instaurazione di un governo islamico radicale econtrolla il critico fenomeno della pirateria nel bacino somalo.

-AQAP: Al-Qaeda nella Penisola Arabica, costituito nel 2009, ha rilanciato il terrorismo ǧihadista utilizzando lo Yemen come base operativa. Attualmente il più forte affiliato di Al-Qaeda, che verosimilmente apporta la maggiore minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita.

Questa proliferazione di sigle, benché esse manchino di una reale capacità tecnicae strategica che permetta loro di realizzare i propri obiettivi,ha fatto sì che si alimentasse un conflitto permanente e di difficile contrasto, che ha giustificato un’ingerenza straniera (occidentale) nei paesi interessati dal fenomeno (ultimo episodio causato in Yemen dal raid del drone statunitense che ha ucciso Anwar Al-Awlaqi).

Il fenomeno del terrorismo islamico in Europa.

L’Islam è una realtà in Europa, in cui vivono circa venti milioni di musulmani migrati in cerca di possibilità di vita migliore e di un lavoro stabile.

Allo stesso modo, seppur i fenomeni non siano direttamente collegati, il terrorismo islamico, ormai, non è piùqualcosa di estraneo, che appartiene apaesi lontani dalla nostra realtà occidentale, o più specificatamente europea.

L’Europa non è considerata solo come una terra in cui esportare l’ideologia ǧihadista o come un territorio logistico, ma un teatro operativo in cui fare propaganda per la causa islamica e compiere attentati terroristici.

Il fenomeno in Europa ha individuato tre distinti gruppi sociali su cui attecchire:

-gli immigrati di prima generazione che non riescono ad inserirsi nella cultura, nella società e nel modo di vivere occidentale.

-gli immigrati di seconda o terza generazione che, denaturalizzati dalla cultura d’origine dei genitori, interiorizzano una visione fondamentalista dell’Islam. Si radicalizzano a causa della frequentazione di moschee e luoghi di preghiera in cui operano imam radicali, oppure attraverso il web.

-gli europei convertiti. Quest’ultimo è un fenomeno difficilmente quantificabile, e proprio per l’insita caratteristica sfuggente ai controlli di polizia, rappresenta un obiettivo interessate per il messaggio qaedista. Costoro in qualche modo favoriscono la propaganda, poiché rappresentano quei “miscredenti” che rifiutano i valori occidentali e testimoniano come la fede islamica sia migliore anche per gli occidentali stessi.

Si tratta del fenomeno dei cosiddetti “homegrown”: il concetto si riferisce a forme di radicalismo ǧihadista non importate, ovvero il processo di radicalizzazione avviene interamente in Occidente, attraverso la predicazione di personalità autoproclamatesi imam, o la consultazione della rete internet.

Nei vari siti ǧihadisti (come ad esempio Ansar-ǧehad) è possibile reperire informazioni varie, tra cui, istruzioni per la fabbricazione di “bombe fai-da-te”, ordigni creati usando sostanze confezionate artigianalmente e a base di ammoniaca, classificate come “Anfo” o “Tatp”.

A riguardo è interessante notare l’attività di propaganda di Al-Qaeda rivolta specificatamente ai musulmani in Occidente.Questa è rappresentata dal 2010 dalla rivista “Inspire” sostenuta dall’ AQAP, edita da Anwar Al-Awlaqi, imam americano di origini yemenite e personalità di spicco nel panorama radicale internazionale per la sua competenza mediatica, ucciso il 29 settembre scorso in un raid.

La rivista è diventata il maggior veicolo di radicalizzazione e di propaganda fuori dal mondo islamico e l’uccisione di Al-Awqali chiarisce che l’amministrazione americana è ben cosciente del pericolo rappresentato dal fenomeno degli auto-radicalizzati, poiché ha colpito proprio l’autore del proselitismoqaedista in Occidente.

Il cyber-ǧihad, dunque, è la nuova frontiera di tattica qaedista e ugualmente, rappresenta una nuova minaccia per l’Occidente. Proprio la propaganda on

line ha condizionato sia Abdulmutallab (in seguito addestrato in Yemen), il giovane nigeriano che nel 2009 cercò di farsi esplodere sul volo Amsterdam-Detroit, che Faisal Shahzad, americano di origine pakistana che nel 2010 caricò di esplosivo un’auto a Time Square.

Ciò dimostra la capacità di persuasione del messaggio e quanto la minaccia ǧihadista sia in grado di penetrare nei paesi occidentali, radicalizzando i suoi stessi cittadini.Nonostanteciòi radicali “homegrown” non sonoorganizzati all’interno di una struttura locale, mapossono agirecome i cosiddetti “lupi solitari”utilizzandoordigni di fattura artigianale. Questo elemento porta a ipotizzare che nel futuro l’operatività terroristica poggerà maggiormente sull’asimmetria dei mezzi di contrasto a disposizione, rendendone difficile la prevenzione.

È altresì interessante notare un dato che sembra rappresentare una distorsione del messaggio e della tattica ǧihadista all’interno del mondo islamico: nel triennio compreso tra il 2007 e il 2009 si è verificata una flessione del numero degli attacchi terroristici, su scala globale, sebbene tra il 2007 e il 2008 si sia verificato il più alto numero divittime causate da un attentato di matrice islamica. Inoltre è necessario annotare una recrudescenza del fenomeno, soprattutto in Pakistan, in Iraq e in Afghanistan, dove le vittime sono state quasi esclusivamente musulmane.

La risposta si può rintracciare nell’affinamento delle tecniche operative nel compimento di un attentato, che avviene sempre più attraverso esplosivi a controllo remoto, ma ciò che colpisce è la perversione e la strumentalizzazione del ǧihad da parte dei gruppi terroristici attivi nell’area, giacché la dottrina coranica vieta l’uccisione di musulmani (sia esso un ǧihad difensivo sia di conquista).

Una perdita di consensi tra lapopolazione nel mondo islamicopotrebbe aggiungersi agli elementi che fanno prospettare una nuova fase dello scenariodel terrorismo qaedista.

Innanzitutto la morte di Bin Laden (a seguito di un raid nel compound ad Abbottabad il 2 maggio 2011), che ha rappresentato per l’Occidente la simbolica fine di un’era, all’interno di Al-Qaeda potrebbe portare ad un ulteriore indebolimento, causato anche dalla nuova leadership. Al-Zawahiri, infatti, non ha lo stesso carisma e, più importanti, le capacità finanziarie ed i contatti del fondatore. Si potrebbe verificare una frizione ed un allontanamento delle sigle affiliate, che verosimilmente sono le più attive nel portare avanti gli obiettivi.

Inoltre Al-Qaeda deve fare i conti con gli avvenimenti politici e sociali della Riva sud del Mediterraneo e in Yemen.

Il grande dilemma è rappresentato soprattutto dall’Egitto, paese natale diAl-Zawahiri, nel quale si gioca la partita geopolitica più importante sia verso gli Stati Uniti sia versogli islamisti.Qui è emersa la forte presenza politica dei movimenti islamici, in prima fila i Fratelli Musulmani, i quali rifiutano la violenza comeforma di espressione ideologico-politica e vogliono entrare a piedi uniti nel panorama di governo, dopo decenni di clandestinità politica, ma importante presenza nel tessuto sociale.L’organizzazione, creata nel 1928 da Hasan al-Banna, ha sempre cercato di promuovere un’islamizzazione della società dal basso, partendo dalla struttura famigliaree dalla creazione di unwelfareislamico, per cercare di trasformare il sistema politico e istituzionale.Questo li ha distinti dai gruppi del fondamentalismo islamico, in primisAl-Qaeda, che invece hanno sempre professato un’islamizzazione dall’alto, imposta attraverso la lotta armata.

Dato il momento di incertezza nel mondo arabo-islamico, il messaggio e la propaganda qaedista potrebbero incrementare la loro attenzione verso musulmani presenti in Europa e negli Stati Uniti.

La perdita di autorità del nucleo afghano rispetto alle sigle affiliate, che sempre più operano seguendo proprie leadership e strategie, fa ritenere che Al-Qaeda non sia più l’avanguardia dei movimenti islamici del mondo arabo, ma che possa avvalorare una vocazione propagandistica occidentale.

“Le opinioni espresse nell’articolo sono dell’Autrice e potrebbero non coincidere con quelle di “Eurasia”

*Francesca Blasi laureata in Lingua e Civiltà araba presso la facoltà di Studi Orientali dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”. Laureandain Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”.

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