Sono ormai passati più di centocinquanta giorni dall’inizio della “Rivoluzione Siriana”, così come è stata soprannominata in Europa, o“Manifestazioni Armate”, e “disordini”, definiti invece tali dal governo di Bashār al-Asad. Dopo questi cinque mesi di sangue e pressioni internazionali, la Siria sembra essere vittima di un nuovo piano di divisone territoriale simile al famoso accordo di Sykes-Picot tramite il quale i francesi e gli inglesi divisero la grande Siria in diversi stati. Qualora questo piano avesse successo tutta la regione ne subirebbe le conseguenze.
La Siria affronta un complotto internazionale?
La Siria è situata in una posizione strategica nel Vicino Oriente e sin dal tempo dell’ex presidente Hafiz al-Asad, Damasco è sempre stato un territorio ambito dagli Stati Uniti e dai suoi alleati a causa del suo appoggio nei confronti dei movimenti di resistenza popolare del Libano e della Palestina come Hizb-Allāh e Hamās. Dopo la morte di Hafiz al-Asad e l’arrivo di Bashār al-Asad nel 2000, il nuovo presidente stabilì un piano di cambiamento strategico sui due livelli: interno ed esterno.
1. Politica interna :
La situazione economica e politica siriana non è paragonabile alla situazione esistente in Europa e neanche a quella dei paesi limitrofi come il Libano. Questa realtà è stata messa in evidenza dal presidente Asad sin dal primo giorno del suo mandato nel Luglio del 2000 e ripetuta durante le manifestazioni all’Università di Damasco nel Giungo del 2011. Asad non ha mai negato la liceità delle richieste dei manifestanti, tant’è vero che aveva già posto in essere un piano che prevedeva diverse riforme in ambito economico e una serie di cambiamenti in senso democratico per il Paese, tra i quali l’eliminazione delle leggi di emergenza, la libertà di stampa, la legge dei partiti politici, la riforma elettorale e quella costituzionale.
A partire dal 2000 fino ai nostri giorni sono accaduti nella regione e nel mondo una serie di eventi che hanno influenzato e rallentato l’andamento del piano di Asad.
Gli eventi sono stati i seguenti :
a. L’attacco alle torri gemelle nel settembre 2001 e la conseguente guerra ed invasione dell’Afghanistan e in seguito dell’Iraq.
b. L’omicidio del ex premier libanese Rafic Hariri nel 2005 a Beirut. Tale omicidio ha obbligato la Siria a ritirare i suoi militari stanziati in Libano tramite un mandato dalla Lega Araba e del governo Libanese.
c. La guerra israeliana contro il Libano nel 2006 e la vittoria strategica del partito di Dio – Hizb Allāh .
d. La guerra israeliana contro Hamās nel dicembre 2008 – gennaio 2009, conosciuta come “Operazione piombo fuso” e il continuo assedio contro la Striscia di Gaza.
e. Il fallimento dei tentativi di Pace tra i Palestinesi e Israele.
Ma essendo la Siria uno degli Stati arabi più importanti ed influenti della regione, gli eventi sopracitati hanno indirizzato l’impegno politico di Damasco verso gli affari internazionali e regionali, mettendo in secondo piano il processo di democratizzazione interno. A causa degli eventi di Damasco il 24 Luglio 2011 il presidente Asad ha firmato la legge dei partiti politici che prevede l’organizzazione della vita politica e permette la costituzione di partiti politici.
Due giorni dopo il presidente Asad ha firmato la legge della riforma elettorale che organizza le elezioni del Consiglio del popolo e dei Consigli locali. Tale legge si basa sulla trasparenza e permette ai candidati di controllare l’andamento di tali elezioni.
1. Politica Estera:
Il rapporto fra Siria, Stati Uniti e Occidente è sempre stato vincolato dal buon esito delle trattative di pace nel Vicino Oriente. Il governo di Damasco, che non ha mai tradito la causa palestinese, è disposto alla realizzazione di una pace stabile sul rispetto della volontà della Comunità internazionale che ha adottato la risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che prevede: il raggiungimento di una pace “giusta e duratura” dopo il ritiro dei militari israeliani dai Territori arabi occupati nel 1967 da Israele, e il ritorno dei profughi palestinesi.
Tutti i tentativi di pace tra i Paesi arabi e Israele, partendo dagli accordi di Oslo del 1993, passando per la proposta di pace araba di Beirut del 2002, fino agli ultimi tentativi di Obama nel 2011, sono falliti a causa delle continue guerre ed offensive poste in essere contro il Libano e la Palestina. A ciò si aggiunge il continuo rifiuto di Israele di ritornare ai confini del 1967 e la negazione del diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Tale posizione è stata recentemente confermata da Netanyahu nel 2011 a Washington: «Non possiamo tornare ai confini del 1967 perché per Israele sono indifendibili».
La Siria che considera sé stessa, insieme all’Iran, un importante membro del cosiddetto “asse della resistenza” ha voluto risanare i rapporti con l’Occidente giocando la sua carta regionale: il Libano. I primi passi di risanamento della politica estera prevedevano un riavvicinamento alla Francia. Nel 2008 Nicolas Sarkozy ha ospitato a Parigi il Presidente Bashār al-Asad e il Presidente libanese, i quali hanno annunciato lo scambio diplomatico tra i due paesi. Con gli USA il rapporto è sempre stato teso, il Presidente Asad ha fortemente voluto dialogare con Washington, credendo che tale dialogo fosse necessario per la stabilizzazione della regione. Ma l’amministrazione americana, che ha inserito Damasco nella lista degli “Stati canaglia”, ha sempre accusato la Siria di essere responsabile della violenza in Iraq, di finanziare Hamās e di non volere facilitare l’operato del TSL (Tribunale Speciale per il Libano).
Se dovesse cadere il governo di Asad ?
È ormai chiara l’importanza del ruolo siriano nella regione medio-orientale su diversi fronti, in particolare sul fronte libanese e iracheno. La domanda che ci si può porre è: cosa potrebbe succedere in Siria e nella regione se dovesse cadere il governo di Asad?
La prima conseguenza potrebbe essere la guerra civile in seguito alla divisione della Siria in diversi stati basati sulla religione e sull’etnia.
Il Libano ne subirebbe sicuramente le conseguenze poiché la caduta del governo guidato dal partito al-Baath metterebbe in ginocchio gli alleati che governano il Paese di cedri, isolandoli e lasciandoli soli ad affrontare il Tribunale Speciale istituito per l’omicidio di Hariri. Tale situazione farebbe tornare il Libano ai tempi della guerra civile con il ritorno di diversi gruppi e milizie libanesi apportatori di vecchi e nuovi progetti di divisione che aprirebbero la strada ad una nuova invasione israeliana, ora più che mai viste le recenti scoperte di petrolio e di gas nel mare libanese.
Anche l’Iraq, Paese che a causa dell’“invasione americana” o “missione di pace” del 2003, ha vissuto e vive ancora momenti economici e sociali molto difficili, non si salverà da un eventuale caduta del governo di Asad, poiché ciò potrebbe portare ad una forte crescita dei salafiti. Questo porterà all’aumento degli attentati suicidi (l’attentato del 15 Agosto che ha causato più di 390 vittime tra morti e feriti ne è una dimostrazione), oltre all’immediato ritorno di milioni di profughi iracheni che la Siria sarà costretta a rimpatriare per creare pressioni politiche sugli USA attraverso l’Iraq.
Se l’Iraq dovesse trovarsi in tale situazione rischierebbe un’altra guerra civile più dolorosa di quella del 2006 – 2007, una guerra civile che avrà come conseguenza la divisione del Paese in diversi staterelli su base etnica e religiosa.
L’influenza negativa di un tale evento potrebbe arrivare fino al regno di al- Saud. La voglia di cambiamento che coinvolge tutto il mondo arabo potrebbe mettere in pericolo al-Riad che non gode di una ottima reputazione nell’ambito dei diritti umani. La famiglia reale discute da tempo sulla scelta del successore di Re Abdullah. Tale discussione potrebbe uscire fuori dai Palazzi reali se l’Arabia Saudita non prenderà seriamente in considerazione le richieste di riforme e di cambiamento degli Sciiti alleati dell’Iran e della Siria che costituiscono il 20% della popolazione saudita. Se dovesse cadere il governo di Asad, l’alleato iraniano non rimarrebbe in silenzio ma cercherebbe di svegliare il sonno dei suoi alleati in Arabia Saudita e di organizzare manifestazioni per fare cadere il regime di Riad. L’Arabia Saudita per evitare l’estendersi delle manifestazioni nel suo territorio ha di recente appoggiato il governo del Bahrein inviando i propri soldati e carri armati nella piazza di Manama con lo scopo di combattere i manifestanti considerati dal regime traditori e alleati dell’Iran.
Il Re Abdallah ha recentemente espresso il suo dissenso dichiarando che «Quello che accade in Siria è disumano e non islamico».
Come sostenuto da diversi analisti, Abdallah avrebbe dovuto applicare il detto libanese che dice: “chi ha la casa di vetro, non dovrebbe lanciare sassi alle case altrui”.
La Turchia sembra essersi resa conto di quanto sia pericoloso per la sua sicurezza l’eventuale caduta del governo di Asad. Gli Alawaiti che vivono in Turchia e che sono circa il 13 % della popolazione turca, hanno contribuito al cambiamento della politica di Ankara verso la Siria. Dopo che il governo turco aveva espresso dure posizioni contro quello siriano, nei giorni scorsi ha inviato in Siria il ministro degli Affari esteri il quale ha dichiarato che: «Con il progetto di riforme che ha adottato, la Siria con Bashār al-Asad sarà un esempio nel mondo arabo».
La politica turca nei confronti della Siria non è però stabile. Il 16 Agosto a causa dello sviluppo delle operazioni militari, lo stesso ministro turco ha lanciato un ultimatum alla Siria per mettere fine alle operazioni militari. Tale confusione nella politica di Ankara verso Damasco è frutto delle forti influenze europee nei confronti della Turchia e del vecchio desiderio turco di farne parte della Comunità Europea.
Dopo questa breve illustrazione di ciò che potrebbe accadere nella regione con la caduta del governo siriano, in particolare le eventuali divisioni dei paesi limitrofi con le conseguenti guerre civili, è importante precisare che la divisone della Siria, del Libano e dell’Iraq in diversi stati su base religiosa, rientra nei piani strategici statunitensi e israeliani atti a giustificare la presenza di uno stato ebraico in Israele.
Tutto ciò rende più realistica l’idea che la Siria stia pagando le sue posizioni per quanto riguarda il conflitto Arabo-Israeliano. La Siria, che continua a volere un accordo di pace basato sul ritorno ai confini del 1967 e sul ritorno dei profughi palestinesi, sta subendo un complotto internazionale simile a quello del 1916 che portò all’attuazione degli accordi Sykes-Picot.
Chi deciderà il futuro della Siria ?
La situazione in Siria sembra non stia andando nella direzione giusta per tutti i gruppi coinvolti nella faccenda. Per potere rispondere alla domanda sopra citata è indispensabile prima individuare i gruppi coinvolti che potrebbero essere principalmente tre.
Il primo gruppo rappresenta la maggior parte della popolazione siriana che non ha preso parte alle manifestazioni e che continua ad appoggiare il presidente Asad e crede nelle riforme che sta portando avanti.
Il secondo gruppo rappresenta i manifestanti armati che continuano a violare le leggi dello Stato e diffondono il terrore nel Paese. Questi ultimi rappresentano una minoranza politica e sociale.
Il terzo gruppo include i manifestanti pacifici che credono nel dialogo con il governo per realizzare le loro richieste. Tale gruppo fino ad oggi non ha in mano un progetto politico da proporre e non è politicamente organizzato.
Alla luce di tutto ciò, la domanda che ci si pone è: chi deciderà il futuro della Siria?
È chiaro che il secondo gruppo non ha una base popolare che lo appoggia, e per tale motivo attraverso l’utilizzo delle armi spera, come in Libia, in un eventuale appoggio esterno attraverso una risoluzione ONU contro il governo di Asad. Ma l’appoggio russo e cinese alla Siria nel Consiglio di Sicurezza ha impedito il tentativo degli USA e degli alleati Europei di adottare una risoluzione contro la Siria, questo perché la Russia e la Cina considerano quest’ultima un alleato strategico (La Siria ospita l’unica base militare russa nel Mediterraneo e la Russia non è sicuramente disposta a perderla).
La mancata presentazione di un valido progetto di cambiamento in Siria da parte del terzo gruppo e la mancanza di un leader politico che guidi tale movimento, non permettono a quest’ultimo di essere un eventuale alternativa che possa guidare la Siria nei prossimi anni.
L’appoggio della maggioranza del popolo siriano al governo di Asad e il sopracitato appoggio della Russia e della Cina in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, sono elementi che ci portano alla seguente conclusione: il governo di Asad non cadrà e continuerà a governare il Paese seguendo la linea delle riforme che aveva già adottato e che porteranno ad un maggior cambiamento a livello socio – economico e politico.
*Hamze Jammoul, giurista libanese e esperto nella gestione dei conflitti internazionali .