Mentre la stampa italiana, sulla falsariga della posizione espressa ufficialmente dal ministro Frattini (che più d’ogni altro s’è sbilanciato nelle ultime 24 ore), continua a parlare dell’avvenuta “liberazione di Tripoli” e della “caduta del regime”, altre fonti – pur schierate con la NATO – cominciano a farsi più caute. Persino “Al Jazeera” stamane arriva a mettere in dubbio l’affidabilità delle rivendicazioni dei ribelli di controllare quasi tutta la capitale. Nella confusione di notizie che rimbalzano dalla Libia e dai paesi belligeranti, sembra adesso opportuno cercare di mettere un po’ d’ordine ed ipotizzare una ricostruzione dei fatti e della situazione sul terreno, per quanto aleatoria ed inevitabilmente fondata su una ridda di resoconti e voci non confermabili.
Dopo l’uccisione del generale Younes, comandante delle forze armate del CNT, ad opera degli estremisti islamici che compongono la fazione prevalente della stessa, la ribellione era parsa sgretolarsi, con molte tribù tornate nei ranghi filo-governativi. Le roccaforti Bengasi e Tobruk resistevano con l’aiuto delle forze straniere, ma la stessa Misurata dopo mesi d’assedio cadeva in mano ai governativi. Tuttavia, nelle vicinanze di Tripoli continuava ad imperversare un focolaio di ribellione, animato da combattenti berberi foraggiati tramite il vicino confine tunisino.
Secondo la credibile ricostruzione data da Thierry Meyssan, la “Operazione Sirena” contro Tripoli consisteva in massicci bombardamenti della NATO sulla città (secondo il cronista Nazemroaya, anche lui a Tripoli, per seminare il panico tra la popolazione) unita ad un’insurrezione interna di “cellule dormienti” dell’estremismo islamico, attivate dall’appello degl’imam radicali nelle moschee, sabato sera. Domenica mattina la risposta delle forze governative pareva aver stabilizzato la situazione, ma ai ribelli interni si sono aggiunti altri combattenti sbarcati via mare da navi straniere. Altre voci non confermate parlano dell’arrivo di mercenari ingaggiati dalla Francia tramite il confine tunisino, e dell’appoggio di forze speciali atlantiche.
In particolare, la NATO è intervenuta massicciamente con elicotteri per aprire la strada alle colonne d’insorti, che già domenica sera sarebbero arrivati alla Piazza Verde (in prossimità del mare, in pieno centro-città) avanzando da ovest e da est. Ciò pare confermato dalle immagini mostrate da “Al Jazeera”, e da varie altre fonti. Si è anche parlato della cattura di tre figli del Ra’is. Mentre di Saadi si sa poco, Mohammed Gheddafi è stato mostrato anche da “Al Jazeera”, ma le ultime notizie lo danno già sfuggito alla prigionia. Particolare interesse avevano però attirato le notizie della cattura di Saif al-Islam, spesso indicato come l’erede designato di Mu’ammar Gheddafi. Malgrado la sua cattura sia stata confermata anche dal Tribunale Penale Internazionale, Saif al-Islam è apparso in pubblico, tra una folla festante, a Tripoli questa notte, negando d’essere mai caduto prigioniero.
Si sa per certo che non sono mai cadute in mano ai ribelli la zona dell’Hotel Rixos, dov’è ospitata la stampa internazionale (benché le vicinanze siano infestate di cecchini) e quella del cosiddetto compound di Gheddafi, ossia il centrale quartiere di Bab al-Azizia. Anche la sede della televisione di Stato, benché più volte rivendicata sotto il loro controllo dai ribelli, dopo sporadiche interruzioni ha sempre ricominciato a trasmettere programmazione filo-governativa. Il tentativo d’interrompere le tramissioni libiche risponde evidentemente ad una logica di guerra psicologica, con i media della NATO e dei paesi arabi del Golfo che hanno cercato di avvalorare la tesi d’una repentina e festosa caduta della capitale in mano ai ribelli – evidentemente anche per demoralizzare i lealisti fuori di Tripoli, che controllano buona parte del paese.
Nella notte tra domenica e lunedì Khamis Gheddafi, figlio del Ra’is, era già segnalato a Tripoli, nei pressi del Rixos, alla testa della sua XXXII Brigata (che si credeva a Misurata). Poche ore dopo le immagini di “Al Jazeera”, cronisti sul luogo segnalavano la riconquista della Piazza Verde da parte dei lealisti. Lunedì mattina gli stessi reporter – segnatamente Lizzie Phelan e Frank Lamb (quest’ultimo ferito in maniera non grave da un cecchino) – ipotizzavano che le autorità avessero volutamente permesso ai ribelli d’avanzare fino nel cuore della città per poi circondarli e contrattaccarli. Meno di 24 ore Saif al-Islam, parlando alla stampa, ha riproposto la medesima interpretazione. In effetti, dal primo pomeriggio di lunedì è stata segnalata una controffensiva, condotta con carri corazzati emersi dalla roccaforte di Bab al-Azizia. Pare in questo momento che i ribelli siano stati respinti fino alle propaggini occidentali della città, sebbene loro continuino a rivendicare il controllo di gran parte di Tripoli.
* Daniele Scalea è segretario scientifico dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) e redattore della rivista “Eurasia”. È autore de La sfida totale (Roma 2010) e co-autore (con Pietro Longo) di Capire le rivolte arabe. Alle origini del fenomeno rivoluzionario (Dublin-Roma 2011).