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Channel: Julia Timoshenko – Pagina 157 – eurasia-rivista.org
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A chi giova la tesi della cosiddetta “unicità” del genocidio ebraico?

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1. Faccio riferimento a due pagine del Corriere della Sera del 31 agosto e del 1° settembre 2011, con interviste di Stefano Montefiori a Pierre Nora e Claude Lanzmann, e commento dell’intellettuale di regime Pierluigi Battista. Essi si indignano per il fatto che sui manuali francesi di storia la parola “Shoah” sia stata sostituita da termini come genocidio, sterminio ed annientamento, perché temono che dietro questa vaga terminologia ci sia una strategia non certo di “negazionismo”, ma anche soltanto di relativizzazione e di “banalizzazione” (termine usato in Francia) della cosiddetta “unicità” del genocidio ebraico.

Il lettore intenda bene. Qui non si ha a che fare con una giusta, legittima e sacrosanta reazione alle tesi “negazioniste”. Qui si intende affermare la tesi mistico-religiosa della cosiddetta Unicità e Imparagonabilità del genocidio ebraico. Si è dunque all’interno di quella costellazione ideologica che a suo tempo Domenico Losurdo definì “giudeocentrismo”, che in quanto tale non ha nulla a che fare con la giudeofilia né con la giudeofobia (termine da preferire a quello di antisemitismo, visto che anche gli arabi musulmani sono semiti).

A chi giova questa follia? Non certamente alla memoria storica per le vittime innocenti. Certamente non alla prevenzione di crimini di questo tipo, prevenzione che sarebbe molto più facilitata dalla comparabilità e dall’analogia storica piuttosto che da una mistica unicità. E allora a chi giova?

2. Leggo che la parola “Shoah” in ebraico significa catastrofe, ed indica il genocidio degli ebrei ad opera dei nazisti. E’ preferito al termine “Olocausto” per le implicazioni religiose di quest’ultima parola. Nella lingua armena il termine corrispondente a Shoah, olocausto e genocidio è connotato come Metz Yeghern (Grande Male). Si può visitare il memoriale a Erevan, così come lo Yad Vashem in Israele. Nessun armeno si inquieterà se per caso il termine di genocidio non viene connotato come Metz Yeghern. Ciò che conta è che il genocidio armeno sia riconosciuto come tale, ma gli armeni non pretendono l’Unicità. Perché gli ebrei la pretendono?

3. Una risposta cerca di darla la giornalista ebrea israeliana Amira Hass (Cfr. “Internazionale” n. 582, marzo 2005). Scrive la Hass: “Non ho guardato alla televisione la cerimonia per l’inaugurazione del nuovo museo dell’Olocausto a Gerusalemme. Per quanto potesse essere commovente ascoltare testimonianze così simili a quelle dei miei genitori, ho preferito vedere un film. Non volevo assistere al modo in cui lo stato di Israele ha sfruttato la storia della mia famiglia e del mio popolo per una grande campagna di pubbliche relazioni … la morte di sei milioni di ebrei è la più grande risorsa diplomatica di Israele”.

Non si poteva dire meglio. Esattamente come Amira Hass, quando cominciano alla televisione le cerimonie sulla Memoria cambio immediatamente canale, e spero che questa onesta ammissione non venga presa per una manifestazione di antisemitismo latente, inconscio, eccetera. Riconosco totalmente il “fatto” del genocidio ebraico. Riconosco le tesi storiografiche sulla distruzione dell’ebraismo europeo. Come molti della mia generazione, mi sono formato moralmente su “Se questo è un uomo” di Primo Levi. E’ quasi umiliante dover ribadire queste ovvietà. Non sopporto, e ho il diritto di non sopportarlo, la cerimonializzazione religiosa della legittimazione del sionismo fatta passare per rispetto della memoria storica.

E tuttavia, l’impostazione di Amira Hass non mi convince del tutto. Possibile che tutto questo ambaradan sia rivolto solo a legittimare la costruzione di numerose colonie sioniste in Cisgiordania, la cacciata di contadini palestinesi e la distruzione dei loro ulivi? Non si spara con un cannone contro una mosca. Ci deve essere dell’altro. Vediamo cosa, ma prima apriamo due parentesi.

4. A fine Ottocento, la corrente filosofica chiamata “storicismo” stabilì la differenza fra discipline dette nomotetiche e discipline dette idiografiche. Le discipline nomotetiche (fisica, chimica, biologia, eccetera) stabiliscono “leggi” matematizzabili e sperimentabili, e quindi falsificabili, nei rapporti tra fenomeni. Le discipline idiografiche (storia, storiografia, eccetera) indagano il particolare storico irripetibile (in greco idion), per cui ogni avvenimento è unico e fa storia a sé.

In questa sede non ci interessa discutere se e in che misura gli storicisti avessero ragione o torto contro i loro avversari positivisti e marxisti positivisti. Qui interessa solo ricordare che ogni fenomeno storico per principio è unico, e quindi idion. Anche il genocidio ebraico, come del resto quello armeno, è quindi unico, in quanto avvenuto con modalità uniche (ad esempio il carattere industriale delle deportazioni e l’accompagnamento ideologico razzista, eccetera). Ma non è questa l’unicità storiografica cui vanno in cerca Nora e Lanzmann, ed il loro schiavetto ideologico Battista. Per costoro Unico significa Superiore a qualunque altro, Imparagonabile, così come per i religiosi Mosè, Gesù e Maometto sono unici e imparagonabili. A chi giova?

5. A suo tempo, mi sono occupato analiticamente del genocidio degli armeni, che ho studiato con cura (Cfr. “Eurasia”, 3, 2009). Non ho qui lo spazio per motivarlo, ma assicuro il lettore che si tratta di un genocidio al 100%, qualunque siano le categorie e i parametri concettuali usati per definire il fenomeno.

Il testo principale di riferimento è quello di Vahakn N. Dadrian, Storia del genocidio armeno, Guerini e Associati, 2003. Anche molti storici turchi concordano con la tesi del genocidio, fino a poco tempo fa ancora punita per legge in Turchia. Ebbene, c’è anche un testo di un certo Guenter Lewy (Il massacro degli armeni. Un genocidio controverso) che con mille artifici sofistici estratti dalla storiografia turca (lingua che peraltro Lewy non conosce, come non conosce l’armeno – immaginiamoci uno storico americanista che non legge l’inglese!) nega in tutti i modi che ci sia stato un genocidio armeno, e parla solo di massacro o di serie di massacri. Che cosa succederebbe se uno storico europeo negasse il genocidio ebraico, e concedesse soltanto che ci sono stati una serie di massacri? Si griderebbe all’antisemitismo e si farebbe anche appello a leggi contro il negazionismo. Invece questo signore può scrivere quello che vuole ed essere pubblicato da Einaudi, semplicemente perché gli armeni non sono protetti dalla diffamazione.

Si può andare avanti così? A mio avviso no. Vittime possono diventare a lungo termine gli ebrei stessi. La palese adozione di due pesi e due misure non può che ingenerare fastidio, irritazione, ed infine rivolta contro il Politicamente Corretto. Oggi il Politicamente Corretto dispone di un vantaggio basato sul silenziamento conformistico e totalitario di tutte le voci dissenzienti, ma questo non potrà durare per sempre. Ma arriviamo al cuore del problema.

6. Ho ricordato poco sopra che secondo ebrei onesti ed illuminati come Amira Hass o l’americano Norman Finkelstein, il genocidio ebraico è ideologicamente utilizzato per legittimare non solo il sionismo in sé (fu anche una tesi di Roger Garaudy, ingiustamente accusato di antisemitismo), ma anche la continua violazione del diritto internazionale (insediamenti in Cisgiordania, eccetera). Questo mi sembra ovvio, e può essere negato soltanto dal cinismo, dalla malafede e dalla disinformazione. E tuttavia, non sta ancora qui il cuore della tesi religiosa della Unicità Imparagonabile.

Ci può aiutare il corsivista del Corriere della Sera Pierluigi Battista. Non dimentichiamoci che il Corriere della Sera, in piena continuità tra Ferruccio De Bortoli e Paolo Mieli, è stato all’origine della santificazione dell’anti-islamismo di Oriana Fallaci, fenomeno simile (anche se ovviamente non eguale, idion) alle campagne anti-ebraiche di Giovanni Preziosi degli anni Trenta in cui si scrisse che, anche ammesso che i Protocolli dei Savi di Sion fossero un falso commissionato dalla polizia zarista, questo non conta nulla, perché il contenuto resta vero!

Scrive Battista, nel contesto della sua approvazione dello sdegno di Nora e Lanzmann: “Il rimpicciolimento simbolico di Auschwitz è l’esito doloroso e paradossale di un’Europa che dimentica facilmente l’orrore da cui è venuta”. Riflettiamo su questa frase assiro-babilonese, basata sulla concezione assiro-babilonese (e nazista) di responsabilità collettiva, lontanissima dalla concezione greca di responsabilità individuale (ogni persona ha infatti un’anima propria, psychè).

Di quale Europa va cianciando Battista? Personalmente ho 68 anni, essendo nato nel 1943, e non mi considero assolutamente responsabile per l’orrore hitleriano e per altri orrori consimili. Io non vengo da nessun “orrore”, per usare il linguaggio ieratico di Battista. Ognuno è responsabile solo per le proprie azioni. Gli ultimi nazisti vivi sono novantenni. Solo chi è condannato all’ergastolo ha scritto: “Fine Pena, Mai”. Quando finirà l’espiazione per l’Europa? Settant’anni non sono sufficienti? I mongoli a Baghdad ottocento anni fa hanno passato a fil di spada mezzo milione di persone. Forse che sbarcando a Ulan Bator devo ricordarlo al doganiere facendogli abbassare il capo?

Lo scopo di Battista è quello di inchiodare per sempre l’Europa al suo presunto “peccato originale”, in modo che venga punita in saecula saeculorum con le basi nucleari americane e con la perdita di ogni indipendenza politica e culturale. Fatto che con la memoria storica propriamente detta non ha nessun rapporto.

Torino, 2 settembre 2011

 

* Costanzo Preve è un filosofo e saggista italiano, frequente contributore alla rivista “Eurasia”

 

 

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