Fonte: European Council of Foreign Relations
Traduzione a cura di Martina Franco
Le cause della grande crisi di fiducia che ha colpito l’Eurozona e iniettato veleno nell’ecosistema politico europeo sono molteplici. L’Eurozona è evidentemente priva degli strumenti, delle istituzioni, della cultura economica e della leadership politica necessaria per affrontare adeguatamente la peggior crisi bancaria e finanziaria verificatasi dagli anni Trenta. Il problema ha però radici ben più profonde rispetto all’inadeguatezza dell’edificio noto come la governance economica dell’Eurozona. La crisi, infatti, si è aggravata fino alle sue attuali dimensioni a causa di due gravi problemi strutturali, che mettono in difficoltà la politica europea e le politiche nazionali, e che richiedono entrambi di essere portati al centro del dibattito politico.
Il primo problema consiste nell’ incapacità dell’attuale sistema di governo europeo di offrire ai cittadini elezioni che generino politiche identificabili, basate su una maggioranza di voti. Se è vero, infatti, che gli elettori hanno il potere di eleggere o rimuovere i membri del Parlamento Europeo, si tratta tuttavia di una scelta che influisce a malapena sulle decisioni davvero cruciali che l’Unione Europea oggi produce. Non c’è, infatti, alcuna connessione tra le elezioni europee e le decisioni politiche del Consiglio Europeo, l’organo comunitario più visibile; è minimo, inoltre, l’impatto sulle politiche e sulle proposte che provengono dalla Commissione Europea.
La principale preoccupazione non attiene l’ostilità verso il centro del potere federale, che è normale nei sistemi che governano un territorio esteso e diversificato, come ad esempio quello degli Stati Uniti, dove il potere federale è costantemente sottoposto all’attacco di un populismo regionalista che si nutre di risentimenti contro Washington. L’Unione Europea deve essere realistica ed accettare che il grado di avversione a Bruxelles è parte del fatto che è un’Unione di 27 Stati membri. Il problema di gran lunga più destabilizzante risiede nello squilibrio sempre maggiore tra il sistema centrale dove vengono prese le decisioni, che sta accumulando ulteriore potere in conseguenza di una grave crisi, e la capacità dei cittadini di identificare le leve attraverso le quali quello stesso sistema può essere sottoposto a un controllo democratico.
Il potere esecutivo del sistema di governance europeo è ripartito tra la Commissione e il più influente Consiglio Europeo, con la sua nuova progenie: il vertice dei leader dell’Eurozona. Per quanto riguarda i partiti politici, essi sono organizzati secondo il modello svizzero, che prevede una grande coalizione permanente di tutte le principali formazioni. C’è però una differenza basilare: all’Europa manca la valvola di salvezza svizzera, rappresentata dai referendum semi-permanenti: un aspetto cruciale sia da punto di vista della democrazia, sia a livello politico. Il risultato è che gli elettori europei si sentono per lo più privi del potere necessario per poter influire sulle principali decisioni politiche prese a Bruxelles.
Tutto ciò è abbastanza grave in periodi normali, ma diventa profondamente problematico quando circostanze straordinarie, come l’attuale crisi nell’Eurozona, portano a un ulteriore trasferimento di potere verso un sistema di governo europeo in cui tutti i partiti sono rappresentati; un sistema le cui scelte hanno la prevalenza o determinano – come attualmente devono – le preferenze nazionali. Questa situazione è aggravata dal fatto che il Consiglio Europeo è essenzialmente formato dai 27 leader nazionali, il primo intento dei quali è preferire il loro mero interesse al bene comune europeo, provocando l’indebolimento del processo decisionale e dando vita a scelte politiche collettive catastroficamente prive di forza. Il sistema dunque difetta gravemente di democrazia ed efficienza.
È ovvio che affrontare queste debolezze non porrebbe fine al populismo e alla frustrazione degli elettori in Europa – e nemmeno sarebbe garanzia di politiche europee responsabili; tuttavia, una maggior partecipazione elettorale, reale e percepita, costituirebbe un importante progresso verso la piena legittimazione dell’Unione Europea come una struttura all’interno della quale le principali sfide comuni europee devono essere risolte. Tutto ciò avrebbe anche l’effetto di generare dei leader che abbiano come fine l’interesse collettivo anziché quello nazionale e la cui rafforzata legittimità faciliti decisioni più efficaci. È incoraggiante che si stiano vagliando proposte come quella della nomina, da parte dei principali partiti politici, di un candidato unico per la posizione di Presidente della Commissione: ciò dimostra che il progresso è possibile, se ci sono volontà politica e creatività.
Il secondo problema strutturale che mette in difficoltà la politica europea è più serio e allarmante: per la prima volta in ben più di un secolo, nella maggior parte delle regioni del continente, i cittadini europei non sono più certi né che la vita dei loro figli sarà materialmente migliore o per lo meno allo stesso livello della loro, né del fatto che, da pensionati, vivranno agiatamente come i loro genitori. Si tratta di un cambiamento radicale nelle dinamiche delle nostre società, che comporta enormi conseguenze politiche.
A partire dal XIX secolo, la crescita progressiva della classe media, resa possibile da un maggior benessere materiale, ha determinato, tranne che nei periodi di guerra e di crisi economica, l’evoluzione delle società, e comportato l’ascesa della politica democratica a modello europeo dominante. Ciò ha consentito ai partiti tradizionali di sostenere le campagne elettorali sulla base della promessa di un’espansione del Walfare State e di una maggiore prosperità per gran parte della popolazione.
La riallocazione della ricchezza globale, causata dalla competizione senza precedenti con i produttori e i salariati di Paesi come la Cina, significa che questo lungo capitolo della storia europea è giunto a una conclusione. Ci sono tutte le ragioni per credere che il reddito medio dei cittadini europei conoscerà una stagnazione o diminuirà, fino a che il divario con il reddito cinese e con altri redditi non si sarà considerevolmente ridotto. L’attuale successo economico della Germania è stato pagato al prezzo di un decennio caratterizzato da redditi netti in calo e da una crescente povertà.
Questa trasformazione non cambia soltanto le dinamiche sociali dell’Europa, ma influisce sulla sua politica in ambiti dei quali la maggior parte dei partiti politici non ha neanche iniziato a occuparsi. La promessa di un avvenire migliore in termini di redditi più elevati e migliori servizi sociali, suona oggi ridicola e ingannevole; la gran parte dei politici social-democratici e di centro destra in Europa non conosce però altra via per affrontare le campagne elettorali. I nostri principali partiti politici stanno scegliendo di affrontare una trasformazione storica, evidente a ciascun elettore, facendo tutto il possibile per nascondere questo fatto all’interno del dibattito politico ed elettorale. Questa negazione della realtà è quasi certamente una delle principali cause all’origine dell’ascesa del populismo, cui stiamo assistendo in molte parti d’Europa. In questo contesto, è significativo come il partito dei Verdi in Germania, ben preparato dal punto di vista ideologico, che da tempo mette in guardia contro la pianificazione del futuro come una continuazione del passato, veda aumentare considerevolmente i voti a suo favore.
Per le forze politiche europee di centro destra e centro sinistra è fondamentale smettere di considerare la globale redistribuzione della ricchezza, e che ciò che esso comporta per l’Europa, come un fenomeno talmente orribile che è meglio ignorare: è palese, infatti, come questa sia una strada che conduce al loro stesso declino, nonché all’indebolimento delle nostre democrazie.
I partiti tradizionali d’Europa devono dunque adeguarsi con urgenza alle sfide del nuovo secolo. Ciò significa che devono iniziare a competere con determinazione per avere il controllo del potere esecutivo dell’Unione Europea, in modo tale che si diffonda tra gli elettori un senso di partecipazione. Devono inoltre essere chiari circa il riequilibro della ricchezza globale e sulle conseguenze che ciò implica per l’Europa, così da riconquistare credibilità ideologica. Sembra così semplice, ma è anche altrettanto difficile
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