Nonostante i numerosi passi avanti compiuti negli ultimi anni, la percezione degli europei nei confronti della Turchia è ancora imbevuta di diffidenza pregiudiziale, dettata principalmente dall’islamofobia strisciante che domina lo scenario del Vecchio Continente e dalla superficialità con cui gli organi di informazione sono soliti approcciare con la complessa realtà turca.
Il saggio di Aldo Braccio, profondo conoscitore del mondo turco, assume quindi, alla luce di quanto sottolineato, un prestigio particolare se messo in relazione con l’attuale congiuntura storica.
Il titolo stesso del saggio costituisce un omaggio (poi tributato esplicitamente dall’autore del saggio) al grande esperto di geopolitica Carlo Terracciano, che nel non lontano 2004 aveva pubblicato un articolo per la rivista Eurasia intitolato anch’esso “Turchia ponte d’Eurasia”.
Tale espressione è capace, pur nella sua estrema sinteticità, di descrivere efficacemente il ruolo di crocevia, di tramite tra Europa e Asia di cui la Turchia è destinata a vestire i panni.
Dalla lucida disamina offerta da Aldo Braccio emerge il ritratto di una nazione proiettata verso il futuro mantenendosi allo stesso tempo legata al proprio passato, capace di ereditare alcuni dei fattori fondamentali che avevano reso grande l’impero della Sublime Porta.
Alla luce di ciò risulterà maggiormente agevole comprendere come una nazione laica incardinata sulle idee del padre fondatore Mustafà Kemal Ataturk stia entrando a contatto con un processo – aspramente contrastato dalle forze armate, storiche garanti dell’atlantismo – di apertura progressiva all’Islam promossa dal partito AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi) guidato dal Primo Ministro Recep Tayyp Erdogan.
I primi quattro capitoli del libro sono tesi ad illustrare gli aspetti di continuità e le analogie che permangono tra il defunto Impero Ottomano e l’attuale Turchia guidata da Recep Tayyp Erdogan e i tratti fondamentali della teoria geopolitica escogitata e propugnata dal Ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, che parte dalla constatazione della “profondità strategica” legata alla posizione geografica della Turchia per sostenere la necessità di estendere la capacità d’influenza turca in tutte le direzioni.
Il passo di Davutoglu ripreso da Braccio non lascia adito a dubbi al riguardo:
“La posizioni geopolitica non dovrebbe più servire solo a proteggere i confini nazionali ma a trasformare in globale l’influenza locale e ad accrescere gradualmente l’apertura internazionale.
La condizione prioritaria per evolvere dalla mera protezione dei confini nazionali all’esercizio di un’influenza continentale e mondiale, consiste nell’investire la nostra collocazione geopolitica nella dinamica internazionale delle relazioni economiche, politiche e di sicurezza”.
L’approccio pacifico nei confronti degli altri paesi finalizzato a mantenere rapporti di buon vicinato con essi favorisce, come evidenzia Braccio, lo sviluppo prorompente dell’economia, gli ambiziosi processi di ammodernamento relativi alle infrastrutture fondamentali e soprattutto i progetti riguardanti la realizzazione dei due gasdotti Nabucco e South Stream che trovano entrambi nel territorio turco uno snodo fondamentale.
Gli ultimi tre capitoli del libro sono dedicati invece all’analisi delle dinamiche evolutive relative ai rapporti con i paesi cardine dell’attuale contesto geopolitico.
Braccio si sofferma sull’allontanamento di Ankara da Israele, dagli Stati Uniti e dai vincoli della NATO che hanno preluso all’avvicinamento ai governi di Mosca e Teheran.
L’incedere della disamina di Braccio parte dall’indagine sugli attriti passati e sui mai sopiti rancori reciproci per prosegue tappa per tappa fino alle ragioni dell’attuale superamento delle barriere ideologiche che avevano contrapposto la Turchia alla Russia e all’Iran khomeinista.
Non mancano, tuttavia, cenni alle divisioni interne che minano ancora oggi lo scenario politico turco.
Mentre la società civile turca – di cui le forze politiche attualmente al potere si stanno facendo interpreti – sta progressivamente abbandonando l’oltranzismo kemalista e facendo registrare un progressivo raffreddamento riguardo l’adesione di Ankara all’Unione Europea, esercito e magistratura rimangono fedeli ai vincoli del Patto Atlantico.
Braccio si mostra realista in relazione ai prossimi sviluppi politici alla luce di tutto ciò e non esclude che detti poteri atlantisti tornino gradualmente a fare la voce grossa influenzando pesantemente la vita politica del “ponte d’Eurasia”.
Scrive Braccio: “Lo scontro/confronto fra mondo politico e apparato giudiziario riassume il senso del fenomeno turco: qui sta anche il terreno dello scontro/confronto fra sovranità nazionale e sudditanza occidentale, ma anche fra concordia nazionale e divisione, frammentazione dello Stato”.
Dall’attrito tra questi due potenti schieramenti è quindi comprensibile che scaturiscano quindi le mosse politiche spesso incomprensibili e indecifrabili, dettate dai continui mutamenti dei rapporti di forza interni al paese.
L’ondivaga linea politica seguita da Erdogan è l’esempio più lampante di tutto ciò; egli è riuscito a ridimensionare il ruolo dell’esercito e dei poteri ad esso connessi ma si trova costretto a lasciare numerose concessioni ai militari per evitare che la tensione si acuisca ulteriormente, gettando le basi per un ennesimo colpo di stato che vanificherebbe le scelte compiute sovranamente dalla politica.
La Turchia, in sintesi, rappresenta una società complessa composta numerosi fattori che interagiscono in felice e armonica compenetrazione, con cui i logori paesi europei dovranno decidersi a fare i conti.
Se nell’approccio con essa prevarrà l’obsoleto occidentalismo propugnato da taluni prestigiosi analisti e osservatori,le possibilità di comprendere la diversità complementare si avvicineranno inesorabilmente allo zero.
Se invece lo spirito improntato alla solidarietà continentale riuscirà infine a far breccia nell’intricato groviglio di diffidenze di cui gli europei sono impregnati, avrà luogo un avvicinamento tra le due distinte realtà da cui scaturirà una sinergia positiva in grado di favorire, nel lungo periodo, la realizzazione di quella prospettiva eurasiatica auspicata da molti.
Il libro di Aldo Braccio rappresenta un manifesto di quest’ultima tendenza.